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Un’orchestrata polifonica ”pacificazione politica” (Rinascita 09 lug)

di Gianna Duda Marinelli

Quando certi “disegni” sono in via di realizzazione, preventivamente sino dall’antichità, il popolo veniva distratto con i ludi circenses, oggi con le partite di calcio e con i maxi concerti. Quale tranello nasconde il concerto di Trieste, in verità abbastanza palese? Tutto questo suonar la grancassa mirante alle eterne amicizie fa nascere una certa euforia proliferata intorno al progetto mai accantonato di una maxi regione in cui sarebbero inglobate parte, della Venezia Euganea con la città di Mleci (Venezia), della Slovenia, dell’Istria croata, probabilmente una parte della Carinzia, del Friuli-Venezia Giulia e sulla torta, la ciliegina costituita dalla città di Trieste. Riassumibile nell’antica minaccia del Trst je naš. I particolari alla prossima puntata. Nello svolgersi di questa aggrovigliata matassa che cosa può esprimere Trieste prigioniera “come un pisello nel suo baccello”?

I tre presidenti hanno confermato il loro arrivo per martedì prossimo 13 luglio avverrà la resa incondizionata di questa città, svenduta dalla sua Patria.

Il patriottismo italo-slavo dovrebbe essere appagato con la deposizione di due corone, l’una in Piazza della Libertà vicino al Silos un tempo ridotto a Campo Profughi per gli Istriani, Fiumani e Dalmati, prima in fuga dal paradiso di Tito per conservare la vita, seguiti dalla massa degli optanti per rimanere Italiani. Da qui in via F. Filzi per deporre una corona all’ex Hotel Balkan, centro di terroristi slavi notoriamente annidati anche nelle vicine vie, C. Ghega e Torrebianca n. 21. Com’è d’uso in questa penisola, il calumet della pace è stato già fumato in un posto “segreto”, così a “pacificazione” avvenuta potrà iniziare l’agognato concerto.

La grottesca funzione del capoluogo Giuliano è evidente.

Cerchiamo di ricordare.

Senza fare dietrologia é essenziale iniziare dalla traduzione di alcune parti del volume “Moje uspomene” (Le mie memorie) pubblicato nel 1976 da mons. Božo Milanovic, comunista cattolico e direttore del Seminario di Pisino (cuore dell’Istria). Altri suoi amici e nemici dell’Italia, già dal 1909 avevano avuto il loro centro operativo a Trieste, in via Torrebianca n. 21. Finita la Guerra, tra il 29 agosto ed il 5 settembre 1945 il sacerdote si era recato a Zagabria per consegnare la richiesta dell’annessione dell’Istria alla futura Iugoslavia di Tito. La stesura del documento appare basata su falsità riscontrabili dalla sola lettura del testo, alcune note con le probabili domande e le relative risposte sarebbero servite da pro memoria agli ambasciatori che dovevano portarlo a Londra. 1- “Perché la Marca Giuliana spetta alla Jugoslavia? Per ragioni etniche, storiche, culturali, geografiche ed economiche. Per l’inettitudine del regno italiano e per la giustizia popolare”. 2 – “La linea Wilson è stata tracciata a scapito dell’Istria”. 3 – “I motivi per cui in Istria deve essere negato il Plebiscito? Perché la stragrande maggioranza è Croata (non è consigliabile il plebiscito per i 25 anni di influenza italiana). 4 – L’Italianità di Trieste (immigrazione dall’Italia), 40% di cognomi slavi, influsso delle scuole italiane, lo sloveno è compreso nel territorio jugoslavo”. 5 – “La posizione filo italiana dei piccoli proprietari terrieri dell’interno dell’Istria, avrebbero scelto l’Italia anche se la loro lingua d’uso era l’istro-slavo o l’istro-rumeno (Cicceria), dialetti prettamente locali”.

Dopo l’insediamento delle truppe titine in Istria, il 24 luglio 1945, B. Milanovic, da diligente sacerdote di regime, aveva provveduto a convocare senza seguire il protocollo, P. Raffaele Radossi Vescovo di Parenzo e Pola. Il prelato aveva commentato, “Anche nel caso si tratti di una convocazione non ufficiale, il fatto offende la mia veste sacerdotale. All’incontro fanno ben sperare le promesse dei dott.ri Diminic e Motika” (la fama dei due giudici non era ancora conosciuta).

“Il 26 gennaio 1946 mons. Svetozaro Ritig aveva ottenuto dal maresciallo Tito un milione di dinari corrispondenti a 3 milioni di jugolire per il seminario di Pisino. Il 3 marzo 1946, mons. R. Radossi Vescovo di Parenzo e Pola ed i suoi sacerdoti vengono condannati sub poena suspensionis ipso facto incurrenda”.

P. Radossi parla tra se e se, Milanivic ascolta e scrive, “Dopo, prende la tonaca e va a dispensare la cresima a Paderno, poi rivolgendosi ai sacerdoti presenti, esprime contrarietà per l’ordine ricevuto, poi pensieroso si è ritirato”.

Si era trattato del comportamento di un convinto sacerdote comunista che aveva avuto il potere (chi glielo aveva dato?) di “sollevare dal proprio incarico” sia il Vescovo titolare della Diocesi Istriana che tutti i suoi sacerdoti.

Allora esistono i sacerdoti comunisti e non comunisti? Sì, benché don B. Milanovic, abbia dovuto attendere il 3 agosto 1973 per ricevere, con decreto n. 114 la tanto attesa onorificenza gratulatoria, “Il Presidente della Repubblica Federativa di Jugoslavia, Josip Broz Tito – Onorificenza – al merito per aver contribuito con la sua opera alla realizzazione dello stato socialista – D’Ordine – Benemerenza Nazionale con Stella d’Argento”.

Le notizie e gli allegati a quel documento denominato Pazinske Odluke (vojni puc = colpo di stato militare), la cui prima stesura risale al 13 settembre 1943, poi denominato Pazinska Declaracija (Pronunciamento di Pisino) ed infine portato a Londra alla fine del 1945 con il più diplomatico titolo di Memorandum ed ivi conservato alla British Library Economic Science, al centro Of-Political-SNT. L’“Istria doveva essere colonizzata” ed anche se il colonialismo era tramontato Tito doveva superare le Alpi Giulie e dilagare nelle pianura del Veneto. Spesso i dati del documento sono grossolani e si contraddicono, dopo 65 anni, riflettendo su quanto sta succedendo le mosse sono riassumibili con l’“appetito vien mangiando”.

Da allora che cosa è cambiato?

I presidenti, della Repubblica Italiana, della Slovenia e della Croazia saranno presenti a Trieste il 13 luglio, nella Piazza rinominata dell’Unità dei Popoli Europei. Nell’afa estiva questa città sonnecchia, molti si trincerano dietro ai non ricordo perché conviene, altri attendono inerti, ci sono quelli che soffrono ma ciò non fa tendenza.

I reconditi motivi di cotanta raffinata musica ci hanno fatto rizzare le orecchie, ora la tragica verità sta venendo a galla. La storia ricomincia da dove era stata interrotta il 12 giugno 1945.

Mentre i rappresentanti dei governi Sloveno e la Croato si dibattono vivacemente per le acque del Golfo di Pirano (per chi non lo sapesse fanno parte del Golfo di Trieste), ieri ed oggi i presidenti Türk e Josipovic si incontrano a Pinguente (Piquentum ora Buzet) cittadina dell’Istria. Un problema esiste anche là, i residenti nella penisoletta a forma di cuore, sia quelli appartenenti alla parte minore assegnata alla Slovenia, che gli altri della Croazia, sono malcontenti pur dopo aver realizzato la pulizia etnica fondata sui Diritti Umani.

Solitamente è difficile scoprire quanto accade nelle due Repubbliche con cui confiniamo, però questa volta ci viene in aiuto un programma della HRT (Hrvatska Radiotelevisija) di Zagabria. Si tratta di una trasmissione settimanale di 45 minuti intitolata Nedeljom u dva (Domenica alle due) condotta da Aleksander Stankovic. In essa il conduttore si intrattiene con un ospite per parlare su un tema concordato. Spesso l’atmosfera è leggera ma talvolta il coraggioso giornalista propone degli argomenti scabrosi. E’ questo il caso dell’intervista a Ladislav Tomcic, giovane giornalista del Novi List di Fiume quando, dopo un discorso generico negli ultimi dieci minuti riesce a passare con eleganza ad un colloquio ricco di sottintesi in cui, con sottile diplomazia vengono sfiorati degli argomenti solitamente tabù. Si parla di un “gruppo” senza indicare i nomi dei componenti, si accenna solo ad una persona, è la chiave che permette di leggere l’attuale situazione politico-finanziaria della Croazia.

Dalla domanda perché Ivo Sanader sia uscito di scena insalutato ospite ed il perché dell’ascesa alle alte vette politiche di Jadranka Kosor e I. Josipovic sorte un nome, quello di Ivica Todoric. Si tratta di un noto capitalista croato, che continua ad acquistare industrie, catene di distribuzione alimentari ed altro ancora, ampliando la sua attività fino alla Russia. E’ un esponente del “gruppo” slavo-comunista capeggiato da Franjo Gregoric che sino dagli anni Ottanta si riuniva al bar Hennesy di Zagabria. Così, nella trasmissione, da I. Todoric, si è risaliti al grande capo denominato il “sultano de facto non de iure”. Individuato nello stesso Franjo Gregoric che capeggiava il “gruppo del Hennesy”, un vecchio comunista che aveva ricoperto la carica di ministro degli Interni nel governo del defunto presidente F. Tudiman. Come risalta nell’intervista, dalla febbrile attività affidata a I. Todoric il “gruppo” dispone di fondi illimitati, della loro origine si conosce poco o nulla, una cosa è certa, vengono investiti con molta abilità riuscendo così a mantenere in Croazia il potere.

Come in Slovenia la grande maggioranza dei luoghi dove sono stati segnalati “I sepolcri tenuti nascosti e le loro vittime” e le associazioni di volontari sono stati in grado di catalogarli, nella Repubblica di Croazia nessuna iniziativa è sorta con tale finalità. Incuriosisce cercare il motivo per cui, dopo la dissoluzione della Iugoslavia di Tito e la nascita nel 1991 della Repubblica indipendente di Croazia ed il ritorno della democrazia, non sia stato proposto di portare alla luce del sole quanto era avvenuto e nascosto dopo all’8 maggio 1945. Le località della Croazia dove sono avvenute le esecuzioni sommarie più numerose sono due, individuate a circa 40 km da Zagabria.

Mentre dall’esercito di Tito veniva attuata la “Liberazione di Zagabria”, nel Maceljnska suma (Bosco di Macelj), tra maggio e luglio erano state eliminate alcune migliaia di persone, tra le quali molti sacerdoti non comunisti mentre, nei pressi della località di Jastrebarsko, nella Foiba denominata Jazovka erano stati fatti precipitare un numero imprecisato di cittadini Zagabresi, tutti ancora senza nome.

La Repubblica di Croazia è conservatrice: vi sussiste infatti una continuità di idee e di azione. In particolare anche l’antico lessico dei politologi non sembra essere cambiato. E’ il caso dell’espressione “antifascismo” che durante il lungo governo di Tito era stata usata non in contrapposizione ma soprattutto in sostituzione di “comunismo”, quasi mai usata. L’espressione sembrava essere stata quasi dimenticata, ma eccola ricomparire improvvisamente nella forma “antifazism” (antifascismo) proprio quando il “comunismo” non avrebbe dovuto più esistere. Ora secondo il tono con cui viene pronunciato “antifazism”, ha vari significati riconoscibili solo dagli aderenti a questo o quel “gruppo”.

Da tanti elementi irrisolti o incomprensibili ci si può attendere qualche cosa di buono?

Con queste premesse pensare ad una “maxi regione” di frontiera equivale ad effettuare un salto nel buio. Dicevano che dovrebbe trattarsi di un sodalizio a sfondo economico. Si tratterebbe però di un progetto pericolosamente disgregante, in contraddizione con gli operettistici festeggiamenti per l’Unità d’Italia.

Ora, Trieste che ha un’anima, in “Piazza Grande”, dovrà vedere 3 presidenti e 3 bandiere, tanti spettatori e sentire dei bravissimi musicisti diretti dal Maestro Muti, dei cori.

Questa generosa città che tanto, troppo ha visto e che tanto ha sopportato, restando, sino ad ora sempre a testa alta, per la prima volta nella sua Lunga Storia dovrà abbassarla in segno di lutto in nome di un’orchestrata polifonica “pacificazione politica” nata per compiacere chissà quale misterioso alto volere internazionale.

In conclusione, fino a che siamo ancora Italiani desidero presentare una richiesta di alcune, in verità non tanto poche, Triestine molto vicine ai 90 anni, in modo che chi lo può fare, faccia cancellare dal calendario il “4 novembre” così i caduti di Redipuglia potranno riposare in “pace”, lontani dalle prepotenze e dalle ipocrisie.

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