TRIESTE – Tutto prende l'avvio dalla dichiarazione di Janša, riportata dalla Voce del Popolo il 27 marzo u.s. condivisa da parte della popolazione slovena, nella quale si chiede di togliere i monumenti dedicati a Tito, Kardelj e Kidrič in quanto "erano tra i fautori principali delle esecuzioni sommarie sul territorio sloveno dopo la fine della seconda guerra mondiale" e come tali non devono essere ricordati. L'iniziativa di Janša non ha trovato l'assenso del presidente sloveno, Danilo Türk, ma è in perfetta sintonia con quella intrapresa dal Presidente della Lega Nazionale avv. Paolo Sardos Albertini a Trieste, che nel dicembre del 2008 ha inviato una lettera a tutti i sindaci della Regione nella quale chiede sia fatto un censimento dei monumenti, targhe, iscrizioni o intitolazioni che ricordano i personaggi coinvolti nei crimini del dopoguerra. I primi esempi non mancano: una scuola elementare statale con insegnamento in lingua slovena a Sgonico ricorda il "1. Maj 1945", mentre a Monrupino si commemora "il passaggio della gloriosa armata del maresciallo Tito". "Se questi ricordi", continua Sardos, "vengono rimossi, gli esecutori riconosciuti e condannati come tali sarà possibile creare una premessa per la riconciliazione". Con la Legge 92/2004 è istituito il "Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati" ed è inammissibile, ha sottolineato "che le autorità locali la ignorino e che tengano ancora i monumenti che li ricordano". Si richiede quindi di agire "nella consapevolezza di una esigenza di rispetto e di giustizia verso le vittime e i loro familiari; esigenza che riguarda tanto gli italiani che gli sloveni".
"Foibe ed esodo non sono un crimine di carattere nazionale o etnico, ma un disegno politico del maresciallo Tito, ben chiaro e preciso, quello di portare il confine jugoslavo fino al Tagliamento", in quel senso l'incarico dato da Tito a Kardelj di "eseguire l'ordine" e di "pulire con tempestività" perché stava per giungere l'amnistia per i prigionieri di guerra e per i civili arrestati. Le vittime del comunismo jugoslavo sono stati italiani, sloveni e croati.
Ci sono inoltre – afferma Sardos -, esempi positivi quali la presa di posizione della consigliera regionale Blažina e il taglio netto che il governo Sanader ha fatto con il passato comunista in Croazia. "L'ho incontrato anni fa e non conoscendo il croato mi scusai con lui che mi rispose "io sono dalmata e quindi parlo l'italiano", non era ancora presidente dell'HDZ. È un episodio di estremo significato, testimone di una linea politica aperta che avrà più futuro rispetto a quelle che cercano di recuperare i nostalgici del passato regime". Invece, conclude Sardos Albertini, "gli obiettivi da raggiungere sono alti: che in quelle terre si ricrei la situazione e lo spirito di pacifica convivenza, come avveniva ai tempi di Venezia. Prospettate anche manifestazioni congiunte italo-slovene a Basovizza ed nei luoghi in Slovenia che ricordano le vittime".
Parlando del problema dell'Istria (le prese di posizione di Jakovčić) ha contestato uno storico radicamento dei "nostalgici", ricordando che a Fiume c'erano al tempo ben 5 mila persone che hanno optato per la cittadinanza italiana e che hanno visto respinta la loro richiesta. Anche loro sono trattati dagli esuli in Italia come "rimasti", anche se contro la loro volontà. Negli anni '50 non mancavano esempi di italiani autoctoni che, in nome della nazione italiana, hanno voluto restare pur dovendo subire varie difficoltà. "Tené duro", "Resisté", dai loro familiari esiliati erano allora considerati con ammirazione: perché tenevano duro e resistevano in nome dell'italianità dell'Istria, Fiume e Dalmazia.
Daria Garbin