da Il Giornale di Vicenza del 13 febbraio 2011
«L'ho sperimentato come insegnante, frequentando diversi istituti. Per ignoranza e, più spesso, per pregiudizio ideologico gli argomenti foibe, esodo, confine orientale non vengono affrontati dai docenti di storia o vengono risolti in modo marginale, se non addirittura allontanati quasi con sdegno. Capita anche di dover assistere ad un uso strumentale della memoria ai cui fatti viene anteposta l'interpretazione, secondo criteri che non hanno nulla a che fare con l'accertamento della verità. E senza considerare il carico dei dolore di una parte di italiani, sebbene innocenti».
Le parole di Sandra Ziviani, leonicena d'orgine, docente di lettere all'istituto Brocchi di Bassano, hanno denunciato una realtà che, di sicuro non nuova, fa ancora soffrire e indignare i tanti vicentini che ieri erano al cimitero Maggiore per l'inaugurazione del Monumento dedicato alle vittime delle foibe e dell'esodo istriano – fiumano – dalmata. Alla cerimonia all'interno delle iniziative del Giorno del ricordo, erano presenti, tra le numerose autorità vicentine, l'assessore Ennio Tosetto, il consigliere comunale del Pd, Pio Serafin, il presidente e consigliere nazionale dell'Anvgd, associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Coriolano Fagarazzi.
Ha esordito Tosetto: «Il giorno del ricordo assume quest'anno a Vicenza un significato particolare perché avviene in occasione dell'inaugurazione di un monumento alle vittime delle foibe e dell'esodo degli istriani, fiumani e dalmati. Si tratta di un'opera ricca di significati per la nostra amministrazione e città perché diamo a quegli orrori e a quelle tragedie un luogo ed un simbolo che li ricordi per sempre. Un luogo sicuramente più degno dell'incrocio viale delle Vittime civili di guerra dove si svolgeva annualmente la cerimonia».
A spiegare il monumento è il consigliere Serafin: «La lastra di pietra d'Istria proviene da una cava a Sud di Fiume: pesa oltre 10 quintali. Abbiamo così portato un lembo delle terre dove si sono consumate quelle tragedie. Tragedie e violenze che sono state rappresentate dalla scultura di Nereo Quagliato, già autore di un'altra opera, qui accanto, realizzata quarantuno anni fa per il monumento delle vittime civili. Nel leggio la preghiera del vescovo di Trieste e Capodistria, Antonio Santin, uno dei simboli dell'identità nazionale e religiosa degli italiani dell'Istria.Tra i due elementi, a terra, l'architetto Giorgio Maculan ha scavato un solco: la voragine delle foibe». Ma la giornata del ricordo, per gli esuli, vuol dire altro, ha sottolineato il presidente dell'associazione Coriolano: «È un ricordo vivo e indelebile. Perché tali sono le umiliazioni e il dolore che gli esuli hanno subito da quando decisero di scegliere l'esilio pur di rimanere italiani e di mantenere la propria dignità e libertà». Hanno abbandonato tutti i loro beni, qualcuno, ha sottolineato Serafin, «ha dissotterrato persino le bare degli avi. A prendere la via dell'esilio fu circa il 90 per cento della popolazione italiana di Zara». Sono stati oltre 2 mila i giuliani- dalmati volontari che disertarono dalle linee austriache per arruolarsi nell'esercito italiano con 302 morti e 12 medaglie d'oro. E oggi? Le famiglie vicentine che aderiscono all'associazione di Coriolano sono 150. Ma non sono tutte. Come non tutti conosco la vera storia, ha sottolineato Ziviani: «Personalmente ho scoperto quegli orrori conoscendo un'esule, Annamaria Fagarazzi. Poi ho voluto ampliare le mie conoscenze». Ecco allora la mitica figura di Norma Cosetto, studentessa istriana catturata, seviziata e infoibata, medaglia d'oro solo nel 2005. «Dopo oltre 60 anni molte vicende sono chiarite – conclude -. C'è stata una presa di coscienza diffusa da una parte illuminata di esponenti della politica italiana. Ma ancora in alcuni ambienti intellettuali permane un'ostinata resistenza ad accettare il ricordo degli italiani vittime della pulizia etnica e politica messa in atto dai partigiani comunisti di Tito dopo l'8 settembre. Dobbiamo riconoscere che gli esuli sono italiani due volte: per nascita e per scelta». E don Giancarlo Pianezzola, che ha conosciuto personalmente i dolori di questa persecuzioni, dopo la benedizione ha parlato dell'importante e sentita unità d'Italia, «anche se manca ancora qualche pezzettino di territorio».