Vittime dimenticate della Shoah: il triestino Egone Brunner

Il nome di Egone Brunner risulterà sconosciuto alla maggioranza dei lettori. Eppure, parliamo di un raffinato scrittore di origine ebraica, triestino, appartenente alla famiglia Brunner, di cui la città giuliana ricorda, nella sua toponomastica, Guido, anch’egli in qualche modo imparentato con Egone. I duri anni della grande guerra, avevano visto la famiglia Brunner diversi in filo austriacanti e irredentisti italiani, mediante dure e sconvolgenti scelte di campo. Successivamente, nella prima metà degli anni ’20, i Brunner risultavano proprietari di cinque fabbriche, leader nell’industria tessile e della lavorazione del cotone. Una famiglia che conserva la sua potenza, frequentando la migliore società e mantenendo solide amicizie con altre casate, come i Cosulich e i Tripcovich.

Sarà la crisi del 1929 a far crollare gli affari di famiglia. Tra le difficoltà che incontrano come ex austriacanti, i debiti accumulati da Arminio e, più tardi, le leggi razziali del ’38, lo scoppio della seconda guerra mondiale costrinsero tutta la famiglia Brunner a lasciare Trieste. Ma torniamo per un attimo ad Egone. Nato a Trieste il 4 settembre del 1888, figlio di Massimiliano ed Elena, era stato soldato nell’esercito austro – ungarico nel fronte russo. Nell’immediato dopoguerra, divenne un intellettuale vivace, avvocato e come molti giovani della sua generazione, aderì entusiasticamente al fascismo. Visse un periodo di scrittura febbrile, sebbene le sue opere siano attualmente introvabili. Influenzato dalle opere della Scapigliatura e da autori come Palazzeschi e Bontempelli, tra il 1926 e il 1927 pubblicò tutte le sue realizzazioni letterarie: Trentotto – Quarantotto (Roma 1927), Volo di pagliaccio in utopia (Roma 1926, la sua opera principale), Il fiore mio furtivo (Roma 1927), l’imperatrice delle bambole (Roma 1927) e l’infiorata dei fasci – ballata negli intermezzi: l’apocalisse nerazzurrador – preludio a detta di pagliaccio (Roma 1926).

Inebriato dal Regime, aprì il “preludio a detta di pagliaccio”, con le seguenti, quanto fuori dall’ordinario, righe: «S.E. il Primo Ministro Benito Mussolini accetti la dedica pseudonima di questo monotono preludio a un inno di giovinezza lungo, frastagliato e a mala pena abborracciato fino ad ora, nei contrattempi suoi». Successivamente, nel medesimo testo, si scusò con il padre, consapevole, in uno strano dialogo tra genitore e figlio, che il Capo del Governo mai avrebbe letto quelle righe.

Per capire lo stile di scrittura utilizzato da Egone, è sufficiente leggere queste poche righe: «iniziatasi l’Era Nuova (1) assai felicemente, in un giorno non meglio precisabile del secondo mese, nel rilasso di tempo che intercorre fra l’onomastico del santo vescovo di Bari e la festa di Santo Stefano Protomartire, l’ora defunto si recò, tal era suo costume, nella saletta terza del caffè Maligno. Fra i numerosi fascisti, fragorosamente attavolati colà, accendevansi numerose, gioconde dispute che ben spesso s’esprimevano con efficacia per qualche pugno. Più d’una lastra eburnea frantumata fu». Difficile capire se fosse l’autore fosse ironico, “scapigliato” o tendente al futurismo, tuttavia, tutte le sue opere vennero pubblicate in pieno Regime, e quindi, da esso approvate.

La ben avviata produzione letteraria dell’avvocato Egone Brunner terminò tuttavia (o almeno, quella conosciuta) nel 1927. L’autore infatti, incominciò a soffrire di problemi psichici, e proprio quella Trieste all’avanguardia, in Italia, nello studio della mente e dell’inconscio, non sarà in grado trovare una cura ai suoi problemi. La svolta razzista di quel Regime, che Egone aveva servito, come d’altronde molti altri cittadini israeliti inizialmente con piacere ed ardore, determinò la sua fine. Nel 1944, Egone si trovava ricoverato presso l’Ospedale psichiatrico provinciale “San Giovanni” (situato all’interno dell’omonimo parco, dove negli anni settanta nascerà la rivoluzione targata Basaglia), assieme ad altri ebrei che soffrivano di problemi mentali. Arrestato e prelevato da un reparto tedesco di SS, incapace di muoversi e di poter fuggire, venne deportato nella Risiera di San Sabba, con destinazione Auschwitz. Con ogni probabilità, venne soppresso proprio nella Risiera, il giorno seguente al suo arresto (2). Attualmente, le sue spoglie mortali riposano, nella tomba di famiglia, accanto a quelle di Massimiliano, Elena, Paolo, Riccardo e Frida (3).

Per concludere la storia di questa vittima dimenticata della Shoah, è piacevole rileggere la sua irriverente “errata corrige”, posta al termine del suo libro più strano, “l’infiorata”:

«l’errata corrige è giù di moda. Ma gli svarioni stanno sopra la scrittura. (…). Io sono un uomo di battaglia. Lo ero, e lo sarà fino all’istanza ultimo. Ed in attesa d’ogni altra contesa, che verrà, io firmo in atto di diffida questo numero…» (4).

Possano queste righe riportare un po’ di luce su quella che fu una vittima triestina dello sterminio ebraico. Terminata la guerra e conclusasi l’immane tragedia, i Brunner tornano a Trieste. Delle loro aziende non era rimasto più nulla, ma la famiglia, ancora più unita, esisteva ancora. Leo Brunner, il figlio più piccolo di Rodolfo, parente di Egone, sarà presidente della Triestina Calcio con la società in serie A. Perché l’epopea di quella famiglia, non avrà fine.

Note

  1. La “nuova era” di cui parla l’autore, era quella fascista.
  2. http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-3159/brunner-egone.html
  3. http://www.hohenemsgenealogie.at/gen/getperson.php?personID=I4457&tree=Hohenems
  4. l’infiorata dei fasci – ballata negli intermezzi: l’apocalisse nerazzurrador – preludio a detta di pagliaccio (Casa Editrice Selecta, Roma 1926).

Valentino Quintana 

 

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