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Vlado Benussi: ”Il dialetto? Un modo di esistere” (Voce del Popolo 11 set)

L’ultima edizione del Concorso d’Arte e Cultura “Istria Nobilissima” è stata motivo di grande orgoglio per i fratelli Libero e Vlado Benussi. Entrambi, infatti, hanno approfondito temi legati alla loro tradizione dialettale rovignese, ottenendo i massimi riconoscimenti al concorso principe della nostra realtà comunitaria. Il primo si è imposto con il saggio “Il verbo nel dialetto di Rovigno d’Istria”, mentre il secondo ha trionfato nella categoria Poesia in uno degli idiomi della CNI, con la raccolta di versi in dialetto rovignese, “S’ceîse da racuordi”. Nella motivazione che accompagna il premio è riportato che “L’espressività del linguaggio (il dialetto rovignese) e l’evidenza semantica della parola riflettono memorie, nostalgie e l’armonia perduta di un piccolo mondo in estinzione”.

 

Questa edizione di “Istria Nobilissima” ha visto un doppio successo firmato Benussi, in due sezioni diverse, che vertono, però, intorno allo stesso tema: il dialetto rovignese. Che cosa ci dice di questa doppia vittoria “in famiglia”?


“Il dialetto ha accompagnato tutto il percorso della mia vita – confida il poeta, musicista, nonché professore, Vlado Benussi –. Veniva parlato da tutti in famiglia, anche se un po’ meno da noi giovani. Già dal tempo delle elementari mi ero cimentato in poesie dialettali e scenette nella nostra ‘faviela’ (Doûto parculpa da la siminseîna 1959/60); la sua dolce melodia è stata per me fonte di tante ispirazioni sia poetiche sia musicali, nonché sottofondo nelle commedie musicali, scritte sia per i miei alunni del Gruppo di studio del dialetto rovignese (operante da una ventina d’anni presso la Scuola elementare ‘Bernardo Benussi’ e curati da me con amore e abnegazione), che per adulti nella doppia raccolta di canzoni in dialetto rovignese ‘Puoche paruole’(1980) e ‘Viecia Ruveîgno’ (1988). Il fatto che anche mio fratello abbia vinto grazie al suo Studio sulla grammatica del nostro comune dialetto, sta a indicare quanto sia importante per noi questa dolce ‘faviela’ di cui non possiamo non avvertire l’inevitabile declino”

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Come nasce questa raccolta di versi in dialetto rovignese?


“La raccolta ‘S’c eîse da racuordi’ nasce in un arco di tempo che va dal 2000 ad oggi, in una miscellanea di temi, sentimenti e ricordi variegati: rimembranze della mia gioventù, poesie d’amore imberbe e maturo, sentenze severe per chi si è comportato male imprimendo solchi profondi nella nostra vita”.

Esiste un filo conduttore di questi versi?

“Al di fuori del dialetto non c’è un vero e proprio filo conduttore. È il dialetto che mi conduce per mano, con la sua dolcezza e la sua armoniosità, tra le torbide vie della verità, spesso idilliache e spesso tortuose e irte di spine e malelingue. Ho sempre un quaderno pronto a segnare i miei stati d’animo e di solito le poesie nascono di getto, con pochissime correzioni; eventualmente mi soffermo nella versione tradotta in italiano”.

 

Quali sono i temi che ha affrontato nella raccolta e quali sono quelli che la spingono a esprimersi con la poesia?


“Essendo la poesia una necessità di sfogo dell’anima, scrivere versi mi crea un senso di piacere e libertà, anche se i temi mi fanno spesso versare qualche lacrima quando li rileggo, a distanza di qualche giorno dalla creazione. Il poeta non sceglie né il momento né il tema, ma la poesia diventa necessità di espressione quando emergono dei sentimenti più profondi legati all’infanzia, alla maturità, spesso con una collocazione logistica nella città natale o in luoghi astratti del subconscio”.

 

Nella motivazione al premio, la giuria ha evidenziato che le sue parole “riflettono memorie, nostalgie e l’armonia di un piccolo mondo in estinzione”. È d’accordo che sia un mondo oramai al tramonto?


“Non sono completamente d’accordo che il nostro sia un piccolo mondo in estinzione. È il dialetto che è ‘condannato’ dalla globalità e dall’assimilazione, mentre il mondo si evolve e bisogna stare ‘al passo’ con i tempi. Le armonie del dialetto, come nella musica, sono infinite, bisogna coglierle e proporle soprattutto ai giovani, come il grande lavoro di riproposta del dialetto rovignese svolto nella nostra scuola elementare, nell’allestimento di bozzetti folcloristici, partecipazione a concorsi quali: ‘Favalando la ruvigni∫a’, ‘Istria Nobilissima’, ‘Mailing List Histria’ e altri progetti. È questa la via che ci permetterà di mantenere il nostro dialetto quanto più a lungo, dolce e propositivo”.

 

Quali sono, secondo lei, i meccanismi per salvaguardare il dialetto rovignese dalla graduale e purtroppo inevitabile sparizione?


“Oltre a quello che è stato già detto a proposito del lavoro di recupero nel Gruppo di studio del dialetto rovignese operante presso la SE ‘Bernardo Benussi’, ci sono ancora io all’asilo d’infanzia ‘Naridola’, dove curo le tradizioni folcloristiche cittadine con il coretto omonimo, mantenendo nel tempo i giochi musicali, le filastrocche e le conte tradizionali. E siamo arrivati già alla terza raccolta in CD. Notevole è pure il lavoro del coretto ’Batanòla’ cioè i minicantanti della CI di Rovigno che guido con tanto entusiasmo, passando questa staffetta di tradizioni in verticale, con l’auspicio che continuino a cantare e parlare il nostro dialetto anche dopo. Da non dimenticare la mole di lavoro con i minicantanti del Gruppo ‘Butèmola in canto’, della CI, diretto da Biba Benussi. Inoltre sto preparando un Catalogo delle bitinade rovignesi, un centinaio circa, corredato da testi e musiche, tradizione rovignese in parte ancora viva nell’attività di singoli artisti e gruppi rovignesi, tra cui la SAC ‘Marco Garbin’ e il ‘Batana folk group’”.

 

Gianfranco Miksa

“la Voce del Popolo”  11 settembre 2012

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