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Zara: denunciano assassini a Italia (coordinamentoadriatico.it 22 mar)

La stampa croata ha riportato recentemente la notizia delle denunce inviate al Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pititto da due zaratini, tuttora residenti nella città dalmata, per chiedere di far luce sulla uccisione dei loro genitori avvenuta a Zara nei drammatici mesi successivi all'occupazione della città da parte delle formazione partigiane iugoslave nell'ottobre 1944. In quel periodo – come la stampa croata ha già riferito con precedenti servizi dalla Dalmazia – vennero soppressi nel capoluogo dell'allora Dalmazia italiana centinaia di persone, per alcune delle quali furono pubblicati e affissi nelle piazze gli avvisi bilingui delle condanne e delle fucilazioni, mentre per la gran parte delle altre vittime è calato un silenzio ufficiale durato decenni, senza che i familiari sapessero nulla del luogo stesso della sepoltura senza che venisse loro riconosciuta nemmeno sul piano anagrafico la morte dei congiunti.

Contro questa lunga e vergognosa congiura del silenzio si è alzata la semplice voce di persone umili rimaste sul luogo a subire la violenza e le disumane vessazioni dei vincitori. Si tratta infatti di famiglie di lingua e sentimenti italiani del popolare rione di Borgo Erizzo, abitato da secoli da popolazione di origine albanese integratasi da generazioni nel tessuto veneto della città. Nelle denunce vengono descritte le persecuzioni che le loro famiglie, come quelle di tanti altri che non poterono scegliere la via dell'esodo, dovettero sopportare per i loro sentimenti italiani.

Sul piano giuridico le due denunce riconfermano la sommarietà dei processi – nei pochi casi in cui furono celebrati – e la sistematicità delle violazioni da parte dei militari e delle autorità titini dei principi elementari del diritto internazionale. Il trattamento della maggioranza italiana della piccola provincia di Zara fu impostato infatti su un presupposto giuridico mostruoso, sul piano della civiltà giuridica: gli italiani di Zara furono trattati e giudicati come se fossero cittadini iugoslavi e come se quella provincia non facesse parte integrante del territorio metropolitano dello Stato unitario italiano dal 1918, in forza di trattati internazionali universalmente riconosciuti. Su questa incredibile base giuridica – che il Governo italiano non ha mai denunciato, come sarebbe stato suo dovere – furono imposte fin dal primo giorno d'occupazione le leggi arbitrarie del nuovo regime comunista (prive a loro volta di ogni legittimità anche alla luce dell'ordinamento interno iugoslavo di allora) come la leva militare forzata dei cittadini italiani, dai sedici ai sessant'anni; gli espropri e le confische dei beni; le accuse di "collaborazionismo" con le autorità civili e militari italiane (premessa evidente di sicura condanna), come se l'obbedienza alle leggi dello Stato di appartenenza non fosse il primo dovere del cittadino di qualsiasi "polis", dagli albori della civiltà; a parte la personale adesione morale della quasi totalità degli zaratini a quelle leggi e a quella patria. Un'adesione così forte che – come si vede – né l'esodo né le continuate umiliazioni sono riusciti a spegnere.

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