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Zara, la Città della Memoria

Zara, per noi famiglia Fragiacomo, è stata un punto obbligato da raggiungere in occasione delle nostre vacanze estive dalmate, tempi eroici anni ’80: si passava per Zara per raggiungere l’isola di Pago, percorrendo il famoso ponte. In un’altra occasione transitammo per imbarcarci e raggiungere un campeggio individuato su una mappa all’Isola Lunga, campeggio che poi si rivelò inesistente, comunque senza pregiudicare il nostro soggiorno.

Trent’anni dopo, quando incominciammo ad attivarci per le nostre associazioni, Zara, con la sua storia, con i suoi uomini illustri, simbolo di una Dalmazia felice, indomita, eroica, diventò uno dei nostri punti di riferimento per la nostra Storia. Delle conferenze del giovedì, ricordo con emozione il contributo di Adriana Ivanov, dal cui animo traspare fierezza, orgoglio, determinazione ed insieme nobiltà delle origini. Da lei abbiamo appreso che la Zara dei secoli passati, sopravvissuta sino al 2 novembre 1943, prima dell’inumano strazio dei bombardamenti, non esiste più, se non nella memoria e nei ricordi dei suoi esuli.

Quello che Francesca Gambaro ci lascia con questo suo lavoro, basato sulla su tesi di laurea, è un ulteriore tassello per caratterizzare questa meravigliosa città scomparsa.

Non avevo sentito parlare del suo testo nei contatti con esuli e associazioni, del resto ci si limita troppo spesso alle novità, trascurando le opere fondamentali. Certo la presenza del libro alla biblioteca Sormani testimonia un’opera di spessore. La conferenza di giovedì 13 gennaio ne è stata una conferma e l’ottima occasione per riparlarne.

Innanzi tutto, Francesca ha parlato del metodo seguito per raccogliere le testimonianze, che sono alla base del suo libro; testimonianze raccolte in seguito ad interviste, anche di parecchie ore, dove l’intervistato, preso dai ricordi, a ruota libera, parlava dei momenti critici della propria vita. Le testimonianze venivano poi raccolte, filtrate, elaborate secondo criteri scientifici per arrivare, da un insieme di memorie individuali, ad una memoria collettiva, anticamera di una memoria storica.

Le testimonianze contenute nel suo libro, oltre ad essere lo strumento per l’analisi sociologica successiva, sono di per sé un tesoro di ricordi preziosi, che aiutano a ricostruire, se non la Zara dei tempi felici, per lo meno la Zara di quei tragici momenti. Vengono descritte con particolare efficacia scene di bombardamenti, la disperazione della gente, i mitragliamenti spietati e gli eccidi di innocenti.

Un altro capitolo basilare è quello dedicato all’arrivo dei titini, al cambio di atteggiamento che caratterizza la popolazione della fascia immediatamente interna nei riguardi degli abitanti del centro storico. Con boria assumono il comando, armi in pugno, in una città semidistrutta e abbandonata dai più, senza difese: accampano diritti di sovranità, non solo sulla Dalmazia, ma su tutta la Venezia Giulia (reclamando Trieste): richieste, queste, di un nazionalismo becero e violento., quasi tutte ottenute.

Per i pochi rimasti non c’è altra alternativa che l’esodo. Le condizioni che essi trovano nell’Italia del post-fascismo sono quelle di un paese che deve sanare le ferite inferte dalla guerra e dalla guerra civile. Trovano diffidenza e, spesso, ostilità da parte degli Italiani, che certamente non possiedono gli stessi sentimenti di italianità degli esuli. Da alcune testimoniane si riesce ad intravvedere che una rara fraterna accoglienza c’è stata.

Giunti in Patria, molti esuli, con grande convinzione, grazie alla loro forte coesione, conquistano posizioni importanti, ottenute con doti di pervicacia e sacrificio. Zara, o meglio la “loro” Zara di una volta, è sempre nella loro memoria, con tenacia ne coltivano il ricordo nei Raduni e attraverso il loro giornale.

Nei raduni ci si sente un’unica grande famiglia che ha condiviso gli stessi dolori, le stesse esperienze, la stessa tragedia dell’Esodo.

Pur non avendone vissuto nessuno, ho, però, respirato l’atmosfera dei raduni dei polesi e penso che quello dei dalmati non sia da meno per intensità di sentimenti che vi aleggiano.

Ho conosciuto attraverso le biografie, le testimonianze, le interviste i Missoni, i Luxardo; ho sentito l’amore portato da tutti (non solo dai dalmati) verso Lucio Toth. Ma ci sono stati altri alfieri, che hanno primeggiato nella vita pubblica e in posizioni di prestigio, perchè cresciuti con una fede e uno spirito di iniziativa che deriva dal loro carattere combattivo, improntato dalla tenacia nel mantenere la propria tradizione e cultura. Vorrei concludere con alcune considerazioni dell’autrice nel descrivere lo spirito dell’animo dalmata.

I Giuliano Dalmati rappresentano l’ambito di espressione privilegiato dell’identità nazionale italiana, nella sua forma più autentica e positiva, mentre il gruppo nazionale italiano dimostra una sua italianità debole

Questo atteggiamento sfocia in vere e proprie manifestazioni di “orgoglio nazionale dalmata” attraverso il ricordo della buona volontà, della determinazione, dell’onestà e dell’assenza di lassismo mostrate dai profughi al loro arrivo in Italia e che, a detta degli intervistati, sono il segno inequivocabile di una forza d’animo e di un coraggio che non è rinvenibile fra i connazionali.

Memoria individuale, memoria collettiva, identità dell’”Ingroup”: son questi i temi che troverete trattati nel volume con ampiezza e convinzione di studioso, corredati da una memorialistica a volte “imbarazzante” in alcuni contenuti.

Claudio Fragiacomo

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