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Zara sepolcro di antichi splendori (Voce del Popolo 27 ago)

Siamo arrivati a Zara in piena stagione turistica, una meta estiva questa per moltissimi visitatori che oggi, oltre ad andar ascoltare lo strano concerto provocato dalle onde marine che s’infrangono lungo quell’eccezionale organo costruito di recente lungo la riva, non esitano a percorrere le molte vie e viuzze onde poter immergersi in quel fascino antico che poche città della costa adriatica possono ancora offrire. Poi magari dalla lunga catena delle mura affacciarsi al porto con quel continuo, indefesso movimento di natanti piccoli, grandi, e soprattutto di traghetti che a tutte le ore del giorno si alternano in un viavai ininterrotto tra la città e i molti paesi e paesetti, d’inverno pressoché abbandonati, che si stendono sulle molte e pittoresche isole del suo vasto specchio di mare.

Il “Viaggio in Dalmazia” di Bahr

Dunque Zara: quasi per caso, in una delle viuzze del centro e tra gli altri vecchi libri offerti da un antiquario e accatastati dinanzi la porta del suo negozietto, abbiamo trovato un libro (senza copertina e acquistato per sole 20 kune): “Viaggio in Dalmazia”, apparso originariamente a Berlino nel 1909, opera dello scrittore e saggista di Linz Hermann Bahr. Si tratta di uno scritto in un certo modo politico per far comprendere le intricate vicende balcaniche e le loro lontane origini, ma soprattutto un viaggio diciamo sentimentale di un letterato certo d’eccezione, innamorato della Dalmazia che definisce paese del sole, una terra di fiaba e d’incanto.

«Con la pietra la parvenza della carta»

Ed ecco dunque – quale introduzione a questo nostro articolo – la città di Zara nella sua descrizione, logicamente una Zara dell’inizio del secolo scorso, quando il suo aspetto non era stato ancora devastato dalle numerosissime incursioni aeree di inglesi e americani durante il secondo conflitto mondiale che per fortuna hanno lasciati intatti molti dei suoi edifici storici. E dobbiamo sottolineare che anche la nostra prima impressione combacia esattamente con quella dell’autore. Infatti, scrive Bahr: “Qui sulle prime si vede soltanto una lunga parete bianca. Poco a poco ci si rende conto che questa lunga parete bianca starebbe a rappresentare delle case. Sono edifici, per così dire, di genere neutro. Non si riesce a immaginare come ci possano abitare degli uomini o delle donne (…) Hanno lo stile dei nostri edifici demaniali. Il suo fascino consiste nel creare con la pietra la parvenza della carta. Al primo sguardo si crede: di certo non è che un disegno! Meravigliosamente però, in questo disegno si può anche entrare. Ma può anche darsi che durante la notte, quando è partita l’ultima nave, queste case vengano portate via, ripiegate con cura e riposte in un magazzino come le quinte dopo una rappresentazione teatrale. Questa è la famosa Riva di Zara. Dietro c’è la vecchia città di Zara. Davanti è stata eretta una parete bianca austriaca. (…) Si può dunque dire che questa Riva si meriti la propria fama, essendo il simbolo della nostra amministrazione in Dalmazia. Che consiste nel lasciare il vecchio paese com’è, alzandogli però davanti una parete austriaca coperta da alti alberi, affinché non lo si possa vedere”.

Donato, un santo pratico del mondo

Comunque questa è soltanto la sua prima, forse un tantino falsata impressione. Perché poi l’autore si dilunga nella descrizione della parte interna. Ricorda: “il Museo Zaratino, ospitato nella vecchia chiesa di San Donato. Al suo interno hanno scoperto un’iscrizione che fa supporre che la chiesa un tempo fosse il tempio di Livia Augusta. Questo venne aggiustato nel IX secolo per poter accogliere le ossa di Santa Anastasia, portate qui da Bisanzio dal vescovo Donato, un santo pratico del mondo che messo in mezzo alle liti tra Carlo Magno e l’imperatore Niceforo riusciva a servire entrambi”.
Più avanti lo scrittore continua: “Da principio il Duomo di Zara era una basilica. Ne è rimasta solo una colonna. Infatti nel XIII secolo venne ricostruita completamente, in stile romanico. E poi venne un arcivescovo che si chiamava Valaresso ed era veneziano. Dunque non gli piaceva il romanico: non gli riusciva a scordare la sua patria, con il campanile, e così ne fece costruire uno. È stato ultimato soltanto ai giorni nostri, secondo gli schizzi dell’inglese Jackson. (…) Qui sulla piazza si erge una colonna, evidentemente il resto di un tempio romano. Ne pendono delle catene, perché qui ai tempi di Venezia venivano messi alla berlina i malfattori, era la colonna infame. Infatti, la forte epoca veneziana non sopportava che una cosa del passato se ne stesse lì inutilizzata nel presente”.

«Una facciata tessuta con i raggi del sole»

Poi il Bahr passa a descrivere in modo veramente eccezionale il Duomo: “La facciata è incomparabile. Come tessuta con i raggi del sole. Tutto ciò che è gotico tende sempre a trascendere l’uomo, che si sente colpevole. Ma qui gode ancora di se stesso, inebriato, e con le sue mani loda la vita”. Finisce la sua visita a Zara annotando: “Rimango in coperta finché passiamo Zara. Eccola, indicibilmente triste. Un sepolcro di antichi splendori. Ne rimangono solo rovine. E se fossi nato qua e sedessi tra dei vecchi libri e leggessi della perduta grandezza dei tempi passati, e avessi il cuore colmo delle gesta dei miei avi e poi mi guardassi attorno e vedessi la miseria e le rovine che mi circondano? È una fortuna che la gente di qui non impari a leggere e a scrivere. Così non sanno nulla del loro passato. Altrimenti già da molto tempo la vergogna e l’ira avrebbero bandito con la frusta il loro senso di sotto-missione”.

L’acquedotto di Traiano

Certo quelle del Bahr sono affermazioni molto coraggiose anche per i suoi tempi. Ma lasciamo l’opera dello scrittore austriaco per inoltrarci molto sommariamente nella millenaria storia di questa città. Già nel IX secolo a.C. venne abitata dalle stirpi antiche dei Liburni. Fonti greche la nominano (Jadasinos) già nel IV secolo mentre nel I, sempre a.C., diventa municipium e colonia romana (Jadera). Le sue navi (naves Jadertinorum) ebbero un ruolo molto importante nella guerra tra Cesare e Pompeo. Quindi, sotto il regno di Augusto, l’antica città venne circondata da mura con tre porte: due marittime e una di terraferma. A quei tempi aveva il foro (95×45,5 metri) con gli attigui edifici pubblici porticati nonché un particolare mercato (emporium).
Durante il regno di Traiano venne costruito l’acquedotto che portava l’acqua da Vrana lontana ben 40 chilometri. Dopo il tramonto dell’Impero Romano d’Occidente, nel 615 Zara diventò sede del capitanato imperiale bizantino per passare quindi per un breve periodo, all’inizio del IX secolo, sotto la dominazione francese. Però grazie all’indefesso lavoro degli ambasciatori delle città dalmate (presso la corte di Carlo Magno costoro erano capitanati appunto dal vescovo Donato) la città ritornò sotto l’amministrazione bizantina finché nel X e in modo particolare nell’XI secolo venne dominata dai re croati. Infatti nel 1050 Zara di sua iniziativa si sottomise loro finché nel 1105 riconobbe Colomanno, primo re croato-ungherese.

L’accanimento dei bombardieri alleati

In seguito divenne libero comune finché venne occupata dai Veneziani (1202) che, immediatamente, ne fecero una roccaforte contro i turchi. Comunque sotto Venezia Zara conobbe diversi tentativi insurrezionali ma infine nel 1409 fu venduta dal re d’Ungheria Ladislao alla Serenissima. Passata all’Austria con il trattato di Campoformio, fu quindi occupata dalle forze napoleoniche finché nel 1813 ritornò agli Absburgo. Partecipò ai moti risorgimentali e con il trattato di Rapallo del 1920 fu assegnata all’Italia. Il resto delle sue vicende storiche le conosciamo, soprattutto quel già accennato accanirsi dei bombardamenti alleati su questa città (per ben 72 volte!) che, dal punto di vista militare, non aveva davvero una grande importanza. C’è un’ipotesi, del resto non confermata, che quell’accanirsi sia stato voluto dal maresciallo Tito per il fatto che la città era allora una “provincia italiana fascista”.
Comunque bisogna sottolineare che nonostante le rovine e nonostante i moltissimi edifici senza uno stile costruiti durante il periodo socialista, la città ha conservato un suo fascino particolare: le mura con le loro torri e le porte lungo la riva, l’assetto delle vie risalente all’epoca romana con il decumano, la famosa Calle Larga (così chiamata ancora oggi), cattedrali, chiese e conventi, il Vecchio Arsenale, nonché vari importanti musei e l’Archivio Storico, tra i più ricchi della Croazia e risalente al 1624.

I monumenti più importanti

Cercheremo ora in breve di ricordare i monumenti più importanti. Logicamente, incominceremo dal campanile della cattedrale di Santa Anastasia che sovrasta la città: iniziato nel 1452, si fermò al primo piano finché appena alla fine del XIX secolo venne terminato su disegno dell’architetto Jackson. La cattedrale invece venne costruita nel XIII secolo e intitolata alla santa patrona della città, quando il vescovo Donato ne portò le reliquie dalla lontana Costantinopoli, dono dell’allora imperatore bizantino.
Altra chiesa importante è quella di Santa Maria, adiacente al monastero delle Benedettine, fondato dalla vedova Cicca parente del re Petar Krešimir IV. In stile preromanico, più volte rifatta, ha l’interno in stile barocco. Nel monastero viene custodita una preziosa mostra d’arte sacra arrivata fino ai nostri giorni grazie al fatto che durante la Seconda guerra mondiale venne sepolta sotto il campanile.
La chiesa di San Donato è certamente il monumento più interessante del Primo Medioevo, già ricordato da Porfirogenito. Venne appunto fatta costruire dal vescovo Donato a forma tondeggiante sui resti del Foro Romano. Per la sua costruzione vennero impiegati molti dei materiali provenienti dagli edifici che circondavano la costruzione romana.
Altra chiesa importante è quella di San Simeone risalente al XIII secolo, nota soprattutto per l’Arca del santo. Quest’Arca (non si è potuta visitare perché la chiesa è sempre chiusa!) venne regalata da Jelisava, moglie del re ungaro-croato Ludovico I e figlia del bano bosniaco Stjepan Kotromanić. Venne costruita nella bottega di Francesco di Antonio di Sesta da Milano con l’aiuto di vari orafi croati. Per la sua realizzazione vennero impiegati 250 chilogrammi d’argento. Con rilievi tratti dalle leggende del santo, riporta anche scene storiche del tempo ed è sorretta da angeli fusi col bronzo proveniente da cannoni saraceni.
La chiesa di Sant’Elia venne donata dai Veneziani agli zaratini di fede ortodossa mentre quella di San Crisogono risalente al 986 e oggi in fase di completo restauro sia interno che esterno, venne costruita dai frati benedettini di Monte Cassino, poi rifatta e inaugurata nel 1175 in stile romanico (nel 1403 qui venne incoronato il re ungaro-croato Ladislav). Da non dimenticare ancora la chiesa della Madonna della Salute del 1582 e quella di San Francesco annessa al chiostro inaugurata nel 1280 in stile gotico. (All’interno di questa chiesa c’è una lapide risalente al 1358 che ricorda la pace qui stipulata e in base alla quale Venezia rununciava alla Dalmazia.) Tutte queste chiese al loro interno custodiscono opere d’arte e pittoriche di grande valore che qui sarebbe troppo lungo ricordare.
Molti gli edifici in vari stili delle ricche famiglie zaratine pervenuti ai nostri giorni, danneggiati dai bombardamenti ma in buona parte ricostruiti come quelli dei Grisogono-Vovo, Patrizio, Nassis, Ghirardini-Marchi, Califfi, Bonaldi, Fanfoni… Oltre alla Porta di Terra del 1543 su disegno del Michele Sammicheli, da ricordare anche le Porte di Mare e la Torre pentagonale dovuta allo Sforza-Pallavicini, nonché l’edificio della Guardia cittadina e la notevole Loggia della Gran Guardia (1562, attribuita al figlio del Sammicheli, Giangirolamo) nella cosiddetta Piazza dei Signori e le varie vere delle cisterne con il Leone di San Marco, cisterne che, come quella Imperiale (rinnovata nel 1556), servivano per imbarcare l’acqua potabile sulle navi che si fermavano nel porto.
Da tutto questo è evidente che Zara con tutti i suoi tesori non è soltanto una lunga parete bianca, né una quinta da smontare al calar della notte e da riporre in un magazzino come la descrive Harmann Bahr nel suo “Viaggio in Dalmazia”, ma davvero “un sepolcro di antichi splendori”, una città piena di tesori che merita di essere visitata.

 

Mario Schiavato

“La Voce del Popolo” / 27.08.2011

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